Violazioni delle prescrizioni autorizzative a cura dell'Ing. Mozzillo Antonio

Estratto normativo:
 ➢Art.256; D. Lgs. 152-06


L’inosservanza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni configura come reato contravvenzionale di cui all’art. 256 comma 4. 

Come sempre, occorre partire dal dato normativo letterale, in base al quale “le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni”.

Ricostruendo dunque il contenuto del precetto penale in seguito alla lettura dei primi 3 commi richiamati ai fini della determinazione sia della condotta illecita sia del trattamento sanzionatorio, deve concludersi che qualora un soggetto, pur in possesso dei titoli autorizzativi di cui al comma 1, ossia dei titoli necessari per l’esercizio delle attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento, commercio e intermediazione dei rifiuti, violi le relative prescrizioni, integra un’ipotesi di reato, punita con la pena alternativa dell’arresto da 45 giorni a 6 mesi o dell’ammenda da milletrecento euro a tredicimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi, oppure con la pena cumulativa dell’arresto da tre mesi a un anno e dell’ammenda da milletrecento euro a tredicimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

In primo luogo deve riportarsi la sentenza n. 6364 dell’11 febbraio 2019, ove i giudici di legittimità sostengono l’adozione di un criterio non formale ma sostanziale per la definizione e l’individuazione delle prescrizioni autorizzative, la cui violazione integra l’illecito contravvenzionale in esame.

La Corte di Cassazione asserisce che “le “prescrizioni” contenute o richiamate nelle autorizzazioni di cui all’art. 256, comma 4, del D.Lvo n. 152/06 sono tali non già, esclusivamente, per la denominazione espressa in tal senso loro attribuita dal provvedimento autorizzativo ma, ancor prima, ed indipendentemente da ogni possibile intitolazione, per il contenuto essenzialmente precettivo che le contraddistingue, in necessaria connessione con le finalità ed i limiti dell’autorizzazione rilasciata”.

Con riferimento alla vicenda oggetto del relativo procedimento giudiziario, la Corte di ultima istanza ha quindi confermato le decisioni dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto che, in ragione dell’evidente collegamento con l’oggetto dell’autorizzazione, riguardante lo svolgimento di attività di messa in sicurezza, recupero e rottamazione di veicoli a motore e rimorchi, le indicazioni in ordine al posizionamento e alle modalità di utilizzo delle scaffalature e ai confini delle aree di stoccaggio dei rifiuti ricavabili dalla planimetria allegata costituiscano altrettante prescrizioni, la cui violazione configura pertanto l’ipotesi di reato di cui all’art. 256 comma 4.

Si raccomanda, dunque, di non limitarsi a una lettura parziale e formalistica dei atti autorizzativi, ma di procedere ad un attento esame di quanto riportato nel provvedimento e di conformare la propria attività a tutte le istruzioni desumibili dal provvedimento medesimo.

Nella sentenza di poco successiva, la sentenza n. 6717 del 12 febbraio 2019, la Terza Sezione della Cassazione penale affronta ancora il tema della delimitazione dei reciproci confini applicativi delle fattispecie di reato di cui al comma 1 e 4 dell’art. 256, ritenendo che “l’attività di gestione di quantitativi di rifiuti superiori a quelli autorizzati, anche secondo la procedura semplificata di cui all’art. 216 D.Lvo 152/06, configura il reato di cui all’art. 256 comma 1 e non il meno grave reato di cui all’art. 256 comma 4”.

Al fine di motivare la loro posizione, i giudici di legittimità evidenziano che il quantitativo di rifiuti costituisce un elemento essenziale del provvedimento autorizzativo, poiché gli impianti, le fideiussioni e le altre soluzioni specifiche di carattere tecnico sono calibrate a tale quantità, sicché la gestione di quantità maggiori rispetto a quelle assentite vanifica l’attività istruttoria e deliberativa esperita dall’autorità amministrativa a tutela dell’ambiente e, di conseguenza, anche l’effetto giuridico del titolo autorizzativo, dovendo quindi considerarsi l’attività di trattamento di rifiuti svolta in mancanza di una valida autorizzazione.