Le conseguenze dell’errata attribuzione del Codice CER A cura dell’Ing. Mozzillo Antonio

L’errata attribuzione del codice Cer da parte del produttore non è sanzionata in maniera esplicita nel T.U.A., però, può condurre ad altre violazioni per le quali, invece, sono previste delle sanzioni come la gestione illecita di rifiuti (art. 256, T.U.).
L’esperienza sul campo ha dimostrato che la gran parte degli illeciti in materia di traffico illecito organizzato (art. 260, T.U.) di rifiuti avviene proprio mediante errata qualificazione dei rifiuti.
Una errata codificazione, o semplicemente una attribuzione del codice Cer ad interessi personali e finalizzata sempre ad agevolare l’invio dei rifiuti ad impianti dotati solo di alcuni provvedimenti autorizzativi, in maniera tale da non farsi scappare materiale sul mercato riuscendo a commercializzarlo con elevati margini di guadagno e contestualmente a tenere la contabilità Ambientale a posto.
Situazioni del genere difficilmente sono riscontrabili in una fase successiva investigativa poichè con le sole analisi della provenienza dei rifiuti e della loro effettiva natura difficilmente si consentirà di svelare la classificazione fraudolenta, essendo difficile e poco chiara la provenienza e di conseguenza il processo produttivo che ha dato origine al rifiuto. D’altronde altra nota dolente della questione è il continuo passaggio in R13 e/o D15 del rifiuto che non fa altro che depistare la provenienza effettiva del rifiuto rendendo ancora più difficile la risalita al produttore originario.
La normative prevede che il passaggio intermedio del rifiuto nelle modalità R13 e/o D15 tra impianti adibiti al recupero è consentito una sola volta ai soli fini della cernita laddove possible. Norma in effetti mai applicate del tutto e mai sanzionata effettivamente dagli organi di controllo. E’ evidente che si tratta di indagini complesse e delicate, quindi remote.
Attraverso l’errata codifica possono essere individuate specifiche fattispecie di reato.
In particolare:
• Conferimento del rifiuto a terzi che non sono abilitati a riceverlo, qualora nell’abilitazione del destinatario figuri il codice erroneamente attribuito, ma non quello che correttamente si sarebbe dovuto attribuire;
• Affidamento del rifiuto per il trasporto ad un trasportatore non abilitato a trasportarlo, qualora nell’iscrizione all’Albo figuri il codice erroneamente attribuito, ma non quello che si sarebbe dovuto attribuire;
• Analoghe possibili conseguenze si hanno in caso di recupero o smaltimento o trasporto in proprio, qualora il codice corretto, a differenza di quello erroneamente attribuito, non sia compreso nell’abilitazione (al recupero, allo smaltimento o al trasporto in conto proprio) posseduta.
Se, poi, per effetto dell’errore nell’attribuzione del codice, si sbaglia anche nella classificazione qualificando non pericoloso un rifiuto che invece lo è, oltre ad incorrere in sanzioni più gravi per il deposito temporaneo, ove si sia optato per la “regola del limite quantitativo”, vi è il rischio di incorrere anche nel mancato rispetto del limite di dieci metri cubi stabilito per i rifiuti pericolosi, mentre se si detengono solo rifiuti non pericolosi si può arrivare fino a trenta metri cubi.
Inoltre un errata classificazione e attribuzione del codice Cer comporta infinite criticità sul piano ambientale e sulla salute umana degli operai che lavorano a contatto negli impianti di recupero rifiuti. Come si può operativamente manipolare, gestire e movimentare un rifiuto di cui non si conoscono effettivamente le caratteristiche chimico – fisiche???
Per non parlare poi delle procedure di sicurezza ai sensi del T.U. 81/08 e ss.mm.ii. come si può programmare una sicurezza sui luoghi di lavoro e monitorare la salute umana dei lavoratori se non conosciamo effettivamente il discriminante e il magnitudo???
Per adesso ci affidiamo al buon senso dei gestori ambientali, in attesa di una più chiara procedura ambientale, sopratutto sanzionatoria.